Capodanno del 1996: Giorgio si trasferisce a Roma, dopo avere trascorso gli anni della formazione a Firenze, poi a Berlino, dove rimane un decennio per studiare pittura all'Accademia, quindi in Chianti per quattro anni, ospite di un amico storico dell'arte. La sua pittura ora raccoglie spunti nuovi rispetto alle prime prove: le dimensioni delle tele di cotone o di lino lievitano, i fondali astratti diventano gigantesche piste di atterraggio per piccole figure evocative che rimandano ai temi della giovinezza, del viaggio, del destino, del paradiso e dell'inferno.
Con leggerezza d'animo e con disincantata innocenza, prendono forma immagini bloccate e vagamente metafisiche, dove si coniugano la precisione dell'illustratore per l'infanzia e la solennità del pittore. Nelle tele recenti il fondo nasce per primo, assume autonomia: sono superfici che ciclicamente si concentrano su un tono unico, modulato in campiture fragranti. Gli dico, provocando, che mi vengono in mente le mistiche tirature di colore di Rothko e lui non si impensierisce.
Piuttosto mi racconta che un amico vuole convincerlo a evitare le figure. Giorgio invece lascia scendere sulla tela un'immagine monocroma, appena disegnata a pennello, la quale, con l'evanescenza di un fantasma, si sovrappone al fondo, ma non lo copre. È una pittura senza rilievo, nella quale lo stile controllato rafforza le qualità astratte degli oggetti dipinti e lascia intendere come Giorgio sia affezionato all'intrusione di una flgura nello spazio.
Le forme acquistano risonanza interiore e diventano aliro, condividendo una scelta generazionale che mi appare convincente, fra le infinite possibilità: un punto di partenza dove memoria e narrazione si incontrano in una specie di spleen domestico, che parie dall'analitica raccolta del quotidiano, ma che non elude il territorio della ricerca.
Mancano i sintomi dei narratori "pulp" e del loro rassicurante anticonformismo; prevale piuttosto l'ombra dei maestri, in una relazione emotiva che trasforma un retaggio pedante in visione contemporanea, nella consapevolezza di vivere un momento storico nel quale non si prova alcun sentimento di alleanza, e in cui si può essere legittimamente disillusi dalla perlustrazione assoluta sulle possibilità del linguaggio. Oggi si può, insomma, manifestano questi dipinti, lavorare in profondità sulla struttura linguistica e cercare un proprio baricentro nella comunicazione attraverso attraverso la figurà, racconto di sé.
Giovanna Uzzani